Considerazioni sulle attività tecniche e sull’aspetto etico dell’assunzione dell’incarico
(Relazione Dr.ssa Manuela Caldironi) – Fonte Asais – Evu Italia
Quando un esperto nell’analisi e ricostruzione di incidenti stradali riceve dal Pubblico Ministero l’incarico di Consulente Tecnico, assume un ruolo di grande importanza nel complesso percorso che s’inizia con l’apertura di un Procedimento Penale e avrà termine dopo anni, durante i quali, quasi sempre, avrà luogo anche una causa civile, con molti interessi e diverse parti che si schiereranno a sostenerli.
Solo chi ha vissuto, a qualsiasi titolo, l’evoluzione di un simile percorso sa quanto sia lungo e complesso e, soprattutto, di come la “verità” che in esso si va cercando, così spesso presente nella mente di tutti con la propria accezione dotata di valore assoluto e incontestabile, debba piegarsi al più terreno ed umano significato di “verità processuale”.
Solo chi ha esperienza sa che, quasi sempre, nemmeno gli stessi protagonisti e testimoni sanno veramente cosa sia successo; soprattutto relativamente alle fasi precedenti all’impatto che sono, in ultima analisi, proprio le più importanti per la valutazione delle responsabilità, giacché in esse si sono sviluppate le cause del verificarsi del sinistro.
Per questa ragione, al di là della possibilità di assumere dichiarazioni testimoniali, si ritiene importante raccogliere quanti più dati oggettivi possibili e sottoporli all’analisi di un esperto affinché, in base ad essi, ricostruisca l’evento con metodo scientifico.
A questo punto, però, diviene doveroso fare alcune considerazioni.
Le Autorità che intervengono sul luogo di un sinistro, debbono procedere secondo legge alla “comunicazione della notizia di reato” e, immediatamente, all’assicurazione delle fonti di prova ex art. 348 c.p.p, agli accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone, al sequestro del corpo del reato e delle cose a questo pertinenti ex art. 354 c.p.p. e, inoltre, debbono documentare, secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle indagini, anche sommariamente, tutte le attività svolte, comprese quelle dirette alla individuazione delle fonti di prova, ex art. 357 c.p.p. .
Le attività ora brevemente riassunte, richiedono competenze specifiche: ad esempio, i rilievi di un incidente stradale dovrebbero essere eseguiti secondo i criteri descritti nella norma UNI 11472 e rappresentati con una idonea restituzione grafica. Il personale addetto ad intervenire sul teatro di un sinistro dovrebbe essere compiutamente formato a compiere i necessari accertamenti su tracce e cose che potrebbero subire alterazioni, ed istruiti a non esprimere mai valutazioni tecnico-scientifiche, che vengono invece richieste ad un esperto in materia, se nominato dal magistrato, secondo quanto esplicitato con la formulazione di un quesito.
Poiché frequentemente le attività di Polizia Giudiziaria sono invece compiute da personale privo degli strumenti necessari, costretto ad operare in numero insufficiente a gestire il contemporaneo compito di mettere in sicurezza la strada e di svolgere gli accertamenti e molto spesso scarsamente formato, gli errori sono frequenti e le omissioni tali da rendere assolutamente necessario che il Consulente Tecnico analizzi con attenzione critica i rapporti delle autorità e cerchi di rimediare, ripetendo con accuratezza le indagini per raccogliere gli elementi oggettivi necessari all’espletamento dell’incarico ricevuto.
Occorre anche considerare che tali accertamenti, anche quando non svolti all’interno di un incidente probatorio o di un incarico conferito ex art. 360, in un certo senso sono sempre “irripetibili”, giacché molte tracce ed evidenze andranno irrimediabilmente perdute con il passare del tempo e con la perdita della disponibilità dei veicoli, restituiti agli aventi diritto sempre più presto, per esigenze di risparmio di denaro pubblico, e altrettanto velocemente rottamati.
La perdita di informazioni fondamentali, perché inizialmente non correttamente raccolte o individuate come inerenti al sinistro, è sempre stata inaccettabile ma ora, con l’aggravamento delle pene previste in conseguenza della nuova legge, la ricostruzione dei fatti e l’individuazione delle cause del sinistro e dei relativi profili di responsabilità dei coinvolti farà la differenza fra condanne che possono differire anche di molti anni.
Maurizio Caprino, su “il Sole 24 Ore” scriveva: “In ogni caso, per giudicare correttamente occorre avere elementi certi, che vengono da rilevazioni complete e inappuntabili da parte delle forze dell’ordine, su cui poi si basino perizie serie. Tutte cose che troppo spesso l’Italia non può permettersi, essendo normalmente riservate agli omicidi volontari che più impressionano”.
Con l’entrata in vigore della nuova legge, nel caso di omicidio stradale compiuto sotto l’effetto di alcool o di sostanze stupefacenti, che comporta pene particolarmente severe, pur essendo vera, da parte del conducente, l’accettazione del rischio potenzialmente micidiale di guidare in tali condizioni, vero è anche che il nesso di causa tra lo stato di alterazione psicofisica e il verificarsi dell’evento deve sempre essere provato: ora, il compito di chi deve discernere è ancor più gravoso.
L’’incarico di Consulente Tecnico della Procura consente una grande libertà intellettuale, perché pur essendo il PM il rappresentante della Parte processuale che conduce la pubblica accusa, dominus dell’azione penale e delle indagini preliminari, il suo fine primario ed ineludibile nel processo non può che rimanere quello della ricerca della verità; da ciò discende immediatamente che il suo consulente, assunto il rango di Pubblico Ufficiale, possa e debba operare in assoluta scienza e coscienza.
Se da un lato questa libertà è di grande valore, dall’altro costringe all’assunzione di una responsabilità etica altrettanto grande. Il lavoro di valutazione compiuto dal Tecnico Ricostruttore, infatti, si muove in una vasta varietà di sfumature tra i due estremi, bianco e nero, dove le certezze sono poche e i dubbi molti e dove è obbligatorio proprio insistere su questi ultimi, con un lavoro quasi ossessivo, per giungere ad una ricostruzione che si avvicini il più possibile alla realtà dei fatti, attenti a fondare il proprio lavoro solo su dati oggettivi, raccolti con metodo incontestabile. Nulla di ciò che affermerà nelle sue conclusioni, infatti, può essere il risultato di pareri personali, quand’anche fondati sull’esperienza professionale.
La consapevolezza che il proprio lavoro fornirà al PM il fondamento cognitivo per motivare l’archiviazione o il rinvio a giudizio e, se svolto nell’ambito di un incarico ex art 360, rientrerà nel fascicolo processuale, fornendo al Giudice importanti elementi di prova, è sempre stata pesante; oggi, con la nuova legge sull’Omicidio Stradale, diverrà certamente motivo di ansia e di notti tormentate. Certamente non è al Tecnico che spetta di esprimere il giudizio di colpevolezza, ma egli contribuisce fortemente a formare il costrutto cognitivo sul quale lavoreranno le Parti processuali ed il Giudice stesso.
Come assumere una tale responsabilità con la sola accezione positive, superare l’ansia dell’errore? Il Giudice è formato professionalmente ad affrontarla, il Consulente Tecnico no. Io credo che esista un unico modo, principio etico e operativo al tempo stesso: occorre rimanere sempre fortemente ancorati al sapere scientifico che lo stato dell’arte della nostra professione consente, approfondendo le proprie conoscenze perseguendo con continuità il proprio aggiornamento professionale con curiosità e mente fresca, sempre disposta al confronto con le critiche altrui e senza concessioni al proprio ego, che spesso conduce a ricostruzioni ambiziose ma che a ben guardare hanno la solidità di un castello di carte. Occorre saper condividere con i tecnici delle Parti la metodologia per gli accertamenti, confrontandosi con apertura mentale a sano spirito scientifico, non appena la tipologia dell’incarico ricevuto ce lo consente: la verità, quella raggiungibile con la mente umana, è figlia del confronto e della collaborazione di menti diverse, che non si nascondono!
Occorre, infine, accettare i limiti propri e della propria scienza, accettando che la propria ricostruzione possa essere a volte non sufficientemente precisa o completa. Il CT del PM, anche se può lavorare su tutti i documenti del fascicolo che si formando con l’azione penale, proprio perché opera all’inizio di tutto l’iter processuale, può non essere a conoscenza di prove che si sono formate durante il dibattimento e, al contrario, può aver lavorato su elementi che non essendosi confermati nel dibattimento stesso, non sono assurti al rango di prove vere e proprie e, dunque, non rientrano nell’insieme di dati sul quale il Giudice formerà il proprio convincimento. In tal caso, durante l’esame in aula, il CT deve ricordare che il proprio ruolo è volto a fini di Giustizia e non deve nascondere l’incompletezza del proprio elaborato solo per difesa d’amor proprio; dopo tutto, soprattutto quando l’incarico è stato assunto ex art 359, il parere esperto aveva la principale funzione di motivare la decisione del PM di archiviare o rinviare a giudizio, non già di giungere al giudizio finale, affidato ad un Giudice terzo!
Occorre lavorare con la consapevolezza del peso che il proprio parere esperto avrà nel processo, ma anche del fatto che non tutto dipenderà da esso.
Inoltre, il Pubblico Ministero potrà chiedere di prorogare le indagini preliminari per una sola volta. Questo fatto si riflette direttamente sui tempi assegnati al Consulente per lo svolgimento del proprio incarico che, tuttavia, spesso è rallentato proprio dal ritardo con cui riesce ad entrare in possesso della documentazione necessaria, che deve essergli fornita dalle autorità che hanno svolto i rilievi e le prime indagini.
Il CT del PM, pertanto, correrà il rischio di dover gestire il compromesso tra la rapidità nello svolgimento dell’incarico e la qualità del proprio lavoro!
Esistono poi competenze, che il Consulente del Pubblico Ministero deve avere, che esulano dalle capacità propriamente tecniche che generalmente si ritengono importanti, ma che sono indispensabili per chi presti il proprio operato all’interno di un procedimento penale; tali competenze consistono essenzialmente nell’attitudine ad esprimersi in modo preciso e puntuale, non solamente in forma scritta, ma anche orale e nella capacità di comunicare concetti tecnico scientifici ai destinatari del proprio operato, che generalmente sono formati in discipline diverse.
Ciò ha a che fare con la differenza che intercorre tra gli “elementi di prova” e la “prova” vera e propria: mentre i primi sono raccolti durante le indagini preliminari, sono utilizzati per la consulenza ma non hanno in generale qualità probatoria, la seconda si forma in dibattimento, nel contraddittorio delle parti davanti al Giudice. La deposizione del CT del PM, durante l’esame delle parti, diviene strumento importantissimo per la formazione del convincimento del Magistrato giudicante, ma perché sia efficace e idonea al raggiungimento di una verità processuale il più vicina possibile alla realtà dei fatti, deve essere chiara, precisa e comprensibile!
Tutto ciò considerato appare chiaro che il Consulente del Pubblico Ministero assume un ruolo centrale non soltanto con la propria “valutazione tecnica”, cuore dell’incarico, ma anche sin dalla prime fasi dell’indagine, contribuendo alla ricerca ragionata, corretta e completa degli elementi storici sui quali la valutazione delle responsabilità dovrà fondarsi. Sia che assuma il suo mandato nell’ambito di accertamenti irripetibili ex art 360 c.p.p. sia che contribuisca con le proprie “necessarie specifiche competenze” ex art 359 c.p.p. al completamento del costrutto conoscitivo della pubblica accusa e, conseguentemente, delle altre parti del processo, il Consulente del P.M. diviene protagonista della dialettica di formazione della prova.
L’operato del consulente tecnico, pertanto, dovrà essere valutato, in ragione della sua centralità nell’ambito del Procedimento Penale, sotto tre differenti prospettive: la ricerca degli elementi oggettivi diretti allo ricostruzione dell’evento, l’individuazione della corretta metodologia scientifica per il raggiungimento della ricostruzione stessa e la capacità di fornire al Giudice uno strumento idoneo all’accertamento della eventuale colpa e della rilevanza causale della stessa in relazione all’evento oggetto del reato, nel rispetto della scientificità delle proprie risposte e nella consapevolezza del limite della loro precisione.
Da quanto detto, emerge l’importanza, al fine di una corretta valutazione dell’operato del Consulente Tecnico, dell’individuazione delle competenze che caratterizzano la specialità di ricostruttore di incidenti stradali, per verificarne la rispondenza allo “stato dell’arte”. A questo proposito, il completamento della Norma Uni 11294 rappresenta il raggiungimento dell’obiettivo di definire un criterio di valutazione definito, in grado di condurre alla formazione di un Albo di Tecnici Ricostruttori certificati.
Da ultimo, acclarata l’importanza del ruolo ricoperto dal CT del PM, emerge anche l’urgenza di un richiamo di natura etica a tutti i professionisti che operano come Tecnici Ricostruttori in ambito forense.
Sono molti i professionisti esperti ed affermati che scelgono di non lavorare più per la Procura della Repubblica. La motivazione principale risiede nello scarso riconoscimento economico che si ricava da una consulenza per il PM (ma lo stesso dicasi nel caso della perizia per il GIP). Certamente la parcella professionale che si può emettere ad un cliente privato è generalmente ben superiore; inoltre, attraverso l’indicazione di un preventivo di massima della attività proposta al cliente, è possibile anche valutarne la resa economica: aspetto, quest’ultimo, di fondamentale importanza, poiché si sta parlando di una professione, caratterizzata anche da obblighi di adeguamento a canoni economici che vengono imposti (studi di settore)!
Vi è, inoltre, una considerevole differenza tra il trattamento economico a cui si può ambire presso le Procure delle diverse aree d’Italia. Non è evidente da cosa dipenda questa diversità; certamente, vi sono professionisti disposti a “svendere” il proprio lavoro pur di ricevere incarichi. Dovrebbe essere superfluo ricordare che un tale comportamento, che turba profondamente il mercato, si configura come uno dei modelli economici di commercio del passato dei quali gli economisti hanno riconosciuto pienamente la pericolosità e il fallimento, poiché ha sempre solo condotto ad una spirale al ribasso, senza vantaggio di nessuno, né dei prestatori d’opera né dei committenti, che ricevevano lavori di qualità sempre più scadente.
Sono molte le ragioni che, attualmente, non permettono di allineare l’attività svolta per il PM a quella offerta ai clienti privati; certamente, al di là delle singole motivazioni di merito, è incontestabile che sul tema nemmeno i diretti interessati abbiano le idee chiare e tantomeno pareri uniformi. Certamente è un tema molto complesso, che richiama in campo il mondo dei trasporti nella sua interezza, compresi i Grandi Poteri che lo governano. Si tratta di un tema politico economico che non può essere seriamente affrontato se non promuovendo il confronto delle diverse parti intorno ad esso. Tuttavia, come sempre, la prima difesa del valore della nostra professione non può che partire dalla capacità di raggiungere una sempre maggiore competenza e la capacità di esprimerla con i nostri committenti, per metterla a profitto.
Detto ciò, inevitabile è il sentito invito ai Ricostruttori più esperti a prestare continuativamente le proprie competenze alle Procure: un’attività così importante, con un impatto così pesante sulla vita delle persone che, a qualsiasi titolo, sono state coinvolte in un incidente stradale grave, non può e non deve essere lasciato a coloro che iniziano la professione! È il nostro senso etico che deve risvegliare in noi il senso di responsabilità sociale. Per una parcella più adeguata al tempo dedicato alla propria formazione, al continuo aggiornamento professionale, all’impiego di strumenti tecnici più efficaci ma più costosi si può e si deve parlare e discutere anche con i Magistrati che assegnano gli incarichi.