Il contatto tra pneumatico e strada è quanto sta alla base della dinamica del veicolo a motore; è solo attraverso di esso infatti che è possibile trasmettere le forze di accelerazione e frenatura, nonché garantire la giusta direzionalità nel mantenimento della traiettoria impostata.
Il concetto di aderenza è piuttosto complesso da analizzare, ma il tutto si può ridurre all’intervento concorsuale di tre fattori: attrito, pressione specifica e temperatura.
Con il termine attrito si identifica quel particolare fenomeno legato alla resistenza nel moto relativo opposta da due superfici che abbiano a strisciare tra loro.
In fisica è essenziale distinguere tra due forme di attrito, riferite dello stato di moto relativo dei corpi a contatto: si parla infatti di attrito statico e di attrito dinamico, quest’ultimo a sua volta suddivisibile in attrito radente, volvente o viscoso (quest’ultimo di natura fluidodinamica).
L’attrito statico è quello più facilmente associabile alla comune esperienza.
Immaginiamo due corpi a contatto fermi l’uno rispetto all’altro: tra i due si stabilisce una forza di adesione che necessità di essere superata per consentirne il movimento relativo e che si dimostra essere direttamente proporzionale alla forza normale alla superficie di contatto, quella cioè che preme un corpo sull’altro.
Nel caso più semplice di un oggetto giacente su un piano tale forza è evidentemente il peso: dunque più un corpo è pesante, maggiore è la forza di adesione che si genera tra le superfici a contatto.
Matematicamente si definisce un coefficiente di proporzionalità tra la forza di adesione e quella normale al contatto che prende il nome di coefficiente d’attrito, il cui valore dipende essenzialmente dalla natura dei materiali a contatto.
A livello microscopico, l’attrito trova una spiegazione concreta: qualunque superficie, anche quella macroscopicamente più levigata, si presenta piuttosto irregolare, scabrosa, vale a dire formata da una serie di minuscole asperità e difformità.
Il contatto tra i corpi allora si attua evidentemente in maniera discontinua e soprattutto con l’insorgere di interferenze e forze concentrate, le quali all’aumentare della pressione tra i corpi aumentano di intensità generando di fatto la resistenza sopra citata.
Fatta tale precisazione, appare più chiara anche la natura dell’attrito dinamico, quest’ultimo pertinente alla resistenza al mantenimento di un moto relativo uniforme tra due corpi.
Tale resistenza è quantificata da una forza d’attrito dinamico, anch’essa proporzionale alla forza normale, ma secondo un coefficiente che è nella quasi totalità dei casi inferiore a quello statico.
Per giustificare tale asserzione basta pensare a come tra due corpi in movimento vi siano minori possibilità che le irregolarità superficiali riescano a interferire efficacemente, eventualmente saldandosi tra loro come avviene in condizioni prettamente statiche.
Di più, al di sopra di una certa velocità relativa, fra le superfici dei corpi si insinua un velo d’aria che le separa, agendo in qualche modo da “lubrificante”.
Come anticipato, l’attrito dinamico può essere distinto in radente e volvente: il primo identifica lo “strisciamento” tra due corpi, il secondo a quello il “rotolamento”.
La condizione ideale di attrito tra ruota e strada è chiaramente identificabile come volvente; nel caso si instauri uno strisciamento (attrito radente) lo pneuamtico perde insieme la possibilità di imprimere al veicolo direzionalità, frenatura ed accelerazione.
In realtà il perfetto rotolamento, fisicamente parlando, è una mera utopia: tutti i corpi sono parzialmente deformabili, e ancor di più lo è uno pneumatico gonfiato d’aria, per cui l’attrito si sviluppa sempre su una superficie piana (impronta a terra) e non lungo un punto o una generatrice di contatto, ovvero è sempre presente un certo, ineliminabile,strisciamento.
Si è detto che il coefficiente d’attrito dipende dalla natura dei due corpi a contatto, nel caso di specie uno dei due è sempre la gomma, l’altro può variare a seconda dei diversi tipi di fondo stradale: concentriamo l’attenzione per il momento sul classico asfalto.
Il coefficiente d’attrito rimane fissato entro un intervallo molto ristretto, variabile tra 0,7 e 1; vale a dire che la forza d’aderenza varia tra il 70% ed il 100% della forza normale, ovvero del peso gravante sulla particolare ruota (in prima analisi potremmo supporre che il peso totale del veicolo sia ripartito in parti uguali, cioè 50% sia sul posteriore che sull’anteriore).
Come si evince da numerose prove sperimentali, ed avviene assai spesso sui motocicli stradali, il coefficiente d’attrito può talvolta superare l’unità; non è raro infatti che in frenatura spinta motociclette dotate di gommatura particolare, come quelle da competizione, riescano ad assicurare decelerazioni superiori a quella di gravità.
Tale anomalia trova giustificazione nell’insorgere di fenomeni supplementari rispetto al semplice attrito, come l’azione adesiva di particolari mescole morbide rispetto al fondo stradale.
Ancora, particolari scolpiture del battistrada permettono alla gomma di “incastrarsi” sulla ruvida superficie dell’asfalto permettendo la nascita di azioni normali che si sommano anch’esse all’attrito puro.
A ben vedere, questo fenomeno è preminente nel fuoristrada, dove l’attrito è minimo e la coerenza tra ruote e terreno è assicurata in massima parte dall’azione dei tasselli di cui è provvisto il battistrada.
Si è però accennato in principio ad un altro fattore critico: la temperatura.
L’attrito difatti non fa altro che dissipare una quota di energia cinetica (movimento) generando calore: ciò evidentemente porta al progressivo riscaldamento delle superfici a contatto che possono conseguentemente variare le loro proprietà fisiche.
Se da una parte il comportamento dell’asfalto non varia sensibilmente al variare della temperatura, la gomma presenta solo un arco ristretto entro il quale garantisce prestazioni soddisfacenti.
In particolare, superata una certa temperatura limite, prossima alla fusione, il coefficiente d’attrito cala bruscamente sino a ridursi a valori minimi.
La produzione di calore è sensibile nel caso dello strisciamento, dunque dell’attrito radente.
Ma non è questo il solo motivo per cui è necessario conservare il più possibile la condizione di attrito volvente tra ruote e fondo stradale durante la marcia.
Ancor più importante è infatti che risulti mantenuta la direzionalità delle ruote, vale a dire che il veicolo segua la traiettoria impostata senza che lo slittamento, congiunto all’azionamento dello sterzo, inneschi il fenomeno dello sbandamento.
Tali premesse portano facilmente un veicolo in condizioni di pericolo, ad esempio provocandone la fuoruscita dalla sede stradale, l’invasione di corsia, l’urto contro ostacoli fissi o mobili; ogni manovra messa in atto dal conducente non corrisponde allora ad una coerente reazione da parte del mezzo.
È pertanto indispensabile che nelle situazioni di emergenza la forza frenante applicata alle ruote non superi mai il limite dello slittamento sul fondo stradale, ovvero che quest’ultimo sia sempre limitato e sufficiente a garantire la capacità direzionale.
Per i veicoli a due ruote la situazione è chiaramente ancora più critica: l’equilibrio è instabile, e in marcia viene mantenuto stabile quasi esclusivamente dall’effetto giroscopico delle due ruote, soprattutto di quella anteriore.
Sulle motociclette un elevato slittamento percentuale si accompagna ad una diminuzione della velocità angolare delle ruote, provocando evidentemente una riduzione dell’effetto stabilizzante.
In una fase ancora più critica, l’arresto anche temporaneo di una ruota implica un’instabilità spontanea. L’esperienza conferma che l’arresto della ruota posteriore può innescare una caduta, mentre l’arresto della ruota anteriore la comporta quasi sempre.
Ancora, la presenza di due sole ruote e la complessa dinamica direzionale del motociclo (nel quale non vi è diretta proporzionalità né corrispondenza tra angolo di sterzatura e diametro di sterzata) fanno sì che lo sbandamento si concluda sovente con gravi e incontrollabili variazioni di assetto (basti pensare alle coreografiche cadute cui si assiste nei Gran Premi in fase di ingresso in curva).
Se da un lato il pilota inesperto cade vittima dello slittamento conseguente ad una eccessiva e repentina azione frenante, occorre non sottovalutare come un pilota più esperto possa viceversa arrivare a subire una collisione perché, temendo un bloccaggio delle ruote, non è arrivato a sfruttare a pieno la potenza frenante, allungando così lo spazio di frenata.